lunedì 29 marzo 2010

TEOSOFIA

RUGRATS



Rugrats (ratti da tappeto) sono dei bambini avventurosi divenuti famosi in una serie televisiva. Tommy Pickles, leader in pannolino del gruppo, si ritrova dinanzi alla nascita di un fratellino, fugge in un bosco, incontra (insieme ai suoi amici) delle scimmie e un lupo e trova aiuto dagli adulti.

PAOLO BORSELLINO: L'INTERVISTA NASCOSTA



L'intervista nascosta, la versione integrale del lungo colloquio fra il giudice antimafia e i giornalisti francesi di Canal Plus, Fabrizio Calvi e Jean Pierre Moscardo, nella sua casa di Palermo, il 21 maggio 1992.

L'UCCELLO DI FUOCO





Tra una ballerina svedese e un cantante lirico italiano nasce un difficile amore che si conclude bruscamente quando l'uomo le propone di rinunciare alla danza per seguirlo. La ragazza, per una serie di drammatici eventi, è poi costretta ad abbandonare ugualmente le scene. Ma, quando ormai è rassegnata al suo destino, potrà tornare a danzare.

LA ZONA



Un muro alto e impraticabile separa la Zona, un quartiere residenziale e abbiente di Città del Messico, da un mondo di baracche e di miseria. Un temporale e il crollo di un cartellone pubblicitario provocano una breccia in quel muro, dove si infilano tre adolescenti delle favelas in cerca di denaro e di fortuna. Ma il destino decide altrimenti e tragicamente. Due di loro muoiono abbattuti dai colpi della sorveglianza, soltanto Miguel trova rifugio nella cantina di una villa e nel (buon) cuore di Alejandro, un coetaneo più felice e fortunato. Mentre Miguel e Alejandro imparano a conoscersi, i residenti intraprendono una folle caccia all'uomo. Nella prima sequenza della Zona un adolescente percorre una strada residenziale a bordo di un Suv. La vernice brillante dell'auto riflette ville e giardini curati: un dentro perfetto e asettico che riproduce se stesso, mentre il suo fuori, caotico e disperato, "ruba" l'amore sopra un pullman rugginoso.
Nell'opera d'esordio di Rodrigo Plà e nell'universo chiuso della Zona c'è il vuoto spaventoso di una lucida determinazione, che spinge residenti sfacciatamente ricchi a confinarsi e a confinare l'umanità derelitta. È un viaggio di sola andata nelle coscienze, paranoiche e mai riscattate, di un gruppo di uomini, donne e ragazzini, nessuno escluso, che si sono dati un sistema di regole fisse che non ammettono né concepiscono eccezioni.
La zona non è una storia di adolescenti ma è il racconto di una crescita, con orrendi segreti da scoprire e contrasti da sciogliere: il sopra e il sotto (la casa e la cantina; il ricco e il povero), il dentro e il fuori (le favelas e il quartiere residenziale), la luce e il buio e i grandi e i piccoli (cattivi padre e cattivi poliziotti contro figli che si lasciano toccare da ciò che è diverso, scoprendolo uguale).
Rodrigo Plà gira un film corale in cui la regressione dell'uomo allo stadio crudo del primordiale rende i rapporti tra vittima e carnefice nitidi e perfetti: non sono più la legge e la giustizia a regolamentare la convivenza all'interno di quella società (auto)esiliata. I residenti nella Zona si offrono al puro istinto, si è prigionieri o carcerieri, non possono esserci vie di mezzo, al punto che la valutazione etica dei personaggi viene messa in relazione con il comportamento tenuto nei confronti del prigioniero/vittima. Tutto appare più semplice e il vero totem contro l'ipocrisia e l'ottusità degli adulti diventa un adolescente. Il senso della storia e della giustizia è dalla sua parte. È Alejandro a spezzare la catena della disuguaglianza e dell'isolamento. Nel suo gigantesco gesto si rivela la sostanza tragica del racconto: la trasgressione di Alejandro riguarda la legge del padre, è un atto di disubbidienza rispetto a quello che gli è stato prescritto, è un percorso etico e conoscitivo.
Quella insubordinazione non significa incoscienza, sfrontatezza o irresponsabilità ma comporta il coraggio di rompere gli schemi, di affrancarsi dalle catene del sangue e della violenza, dalla storia e dalla legge di un universo maschile di cui pure è figlio.

LA TERRA DOPO L'UOMO



Prima ci sarà un'esplosione, poi il nulla. Nessun essere umano sopravviverà. Così in molti immagino l'estinzione dell'uomo ma qualsiasi sia la causa che porterà alla fine del genere umano: cosa ne sarà della Terra e di tutte le costruzioni dell'uomo lasciate abbandonate a stesse?
Un documentario, inquietante ma interessante, 'Life After People', trasmesso dal History Chanell ha cercato di rispondere a questa domanda raccontando cosa ne sarà del nostro pianeta dopo la fine dell'uomo. Ambientato in un futuro molto lontano il video mostra come anche le costruzioni più imponenti realizzate dall’uomo, indistruttibili nell’immaginario collettivo, sarebbero destinate a soccombere all’ecosistema.

LA REGINA DEL SOLE



Antico Egitto, diciottesima dinastia. Akhesa, bella principessa di soli 14 anni, è ben lontana dall’immaginarsi come futura regina d’Egitto .Le sue avventure cominciano con la ribellione al padre, il faraone Akhenaton. La principessa rifiuta, infatti, di vivere confinata all’interno del palazzo reale ed è decisa a scoprire perché la madre, la regina Nefertiti, è stata esiliata sull’isola di Elefantina.

LA PROFEZIA DI KAENA



Axis, una gigantesca pianta rampicante che si innalza al di sopra delle nuvole, ospita un villaggio di strane creature la cui vita viene messa in pericolo poichè Axis sta appassendo e la sua linfa si sta prosciugando. La gente invoca l'aiuto degli dei ma è inutile. Spinta da una forza misteriosa, Kaena, una ribelle e vivace adolescente sfiderà il Sommo Sacerdote e le ancestrali credenze del suo popolo per intraprendere un pericoloso viaggio attraverso Axis e scoprire quali oscuri segreti giacciono oltre le nuvole.

IL PRIMO RESPIRO



Tre anni tra preproduzione, riprese (15 mesi) e post produzione. Dieci nascite seguite in Francia, Vietnam, Stati Uniti, Brasile, India, Tanzania, Giappone, Niger, Siberia, Messico. Un'attrezzatura spesso molto light per le riprese (a volte solo con l'ingegnere del suono e la giornalista che sul film ha pubblicato due libri) e la voglia di mostrare dei modi di nascere diversi rispetto a quelli seguiti per una serie di documentari per la tv nel superattrezzato ospedale pediatrico parigino Robert Debré.
Quanto tempo è passato da quando Helga con il primo parto mostrato al cinema sconvolgeva gli spettatori! Gilles De Maistre ha indubbiamente il dono di saper offrire alle partorienti la sicurezza di una presenza non invasiva. Nulla dà la sensazione della messa in scena, tutto è naturale e tutto è al contempo uguale e diverso. Semmai è la fotografia che appare troppo ricercata e, qualche volta, quasi leziosa. Per il resto ha il pregio di 'mostrare' senza abbracciare nessuna teoria.
Assistiamo così a un parto in piscina con tanto di delfini pronti a omaggiare il nascituro ma anche a doglie anticipate che impediscono la ritualità new age. Veniamo messi di fronte all'efficienza di un ospedale vietnamita cosi come a una nascita notturna in una tribù amazzonica. De Maistre non vuole proporre inni retorici alla vita ma, più semplicemente, mostrare come il nascere non sia solo un fatto naturale e come la cultura influenzi profondamente il venire alla luce.
Non c'è nulla in comune tra la coppia del Maine che vive in una sorta di comune in cui si attende il parto suonando la chitarra con la puerpera adagiata in una piscinetta di plastica e la donna Masai che vive le stesse sensazioni di gioia e di sofferenza a tutt'altra latitudine. O forse invece sì ed è proprio questo che diviene l'elemento di attrazione di questo documentario: il mistero del nascere. Apparentemente uguale eppure così profondamente diverso.

GRIZZLY MAN



Una natura stupida, oscena e sbagliata". Questa è la conclusione cui si arriva di fronte alla toccante riflessione per immagini del regista tedesco, lacerante docu-dramma che ripercorre le tredici estati (dal 1990 al 2003) trascorse in Alaska dall'americano Timothy Treadwell, attivista/ecologista animato dall'ossessione di proteggere dai bracconieri una comunità di orsi grizzly.
Alternando estratti da quel "film di estasi umana e di cupo tumulto interiore" (come l'ha definito il regista) realizzato da Treadwell stesso, suggestive riprese naturalistiche e interviste realizzate a parenti e amici di Tim dallo stesso Herzog, la pellicola va a costruire una drammatica parabola esistenziale sull'utopico sogno dell'Uomo di poter dominare, seppur benevolmente, una Natura atavicamente spietata e violenta .
Riecheggiando quella di tanti travagliati eroi solitari del cinema di Herzog, la storia di Tim si conclude infatti tragicamente con il brutale attacco da parte di un grizzly all'uomo e alla fidanzata Amie Huguenard, quell'estate al suo fianco. Attacco registrato dal microfono della videocamera di Tim, testimone esclusivamente sonora di una tragedia annunciata. E dolorosamente ripercorsa nel film da Herzog che, mettendosi in campo in prima persona, in maniera toccante e discreta fa sua – ma fortunatamente non nostra - questa straziante e privata tragedia sonora.
Il regista tedesco ribadisce così la sua pessimistica visione del mondo della natura, restituendoci allo stesso tempo tutta l'innocenza e la spontaneità di uno spirito umano ingenuo e vitale. Ultimo amico della natura, oltre ogni limite.

EVEREST: UNA STORIA LUNGA 50 ANNI



Documentario della National Geogrphic sul monte più alto del mondo.

COSTRUIRE SENZA FRONTIERE



Documentario della National Geographic sull'architettura e le grandi costruzioni

CLOWN IN KABUL



Un documentario fortemente schierato in favore del ‘no’ a qualsiasi guerra sulla base dell’enorme tributo da pagare in vite umane in campo civile. Raccontato seguendo la missione di medici clown, soprattutto italiani, che, con Patch Adams alla guida, cercano di portare un po’ di sorriso sui volti dei bambini afgani martoriati dagli ordigni. E’ un film sull’incontro tra culture diverse capaci di dialogare attraverso una dimensione ludica che diventa com-passione. E’ un film non antiamericano ma sicuramente anti-Bush. Al suo centro non c’è l’ennesimo ‘comunista disfattista’ ma un medico impegnato sul fronte del dolore con una terapia inusuale: quella del sorriso. E’ facile commuoversi con il Patch Adams divenuto protagonista di un film di successo interpretato da un attore di successo come Robin Williams. Più difficile, per alcuni, accettare quello che dice della politica del suo Paese. Ma l’uomo è sempre quello. Allora bisogna saper scegliere.

CAPITALISM: A LOVE STORY





Questa volta Michael Moore prende le mosse da lontano, addirittura dall'Impero Romano, per mostrare come i segnali di decadenza di quella potenza antica siano tutti rintracciabili nella realtà odierna. La domanda è più che mai esplicita e con la risposta già incorporata: quanto è alto il prezzo che il popolo americano paga a causa della confusione operata tra il concetto di Capitalismo e quello di Democrazia? Per Moore i due termini non coincidono anzi sono in più che netta opposizione soprattutto ora, dopo la crisi mondiale di cui tutti paghiamo le conseguenze.
Per sostenere la sua tesi questa volta il polemista di Flint (cittadina a cui fa ancora una volta ritorno vent'anni dopo Roger & Me) fa un uso molto più ridotto di gag verbali e visive (anche se non ci risparmia un nuovo doppiaggio del Gesù di Zeffirelli in versione liberistico-sfrenata). Perché questa volta il tema è talmente serio che lo spazio per la risata non può che essere ridotto. È ora di passare all'azione secondo Moore. Ancora una volta non per sovvertire un sistema ma per riportarlo alla purezza delle origini.
In una società in cui può esistere un gruppo immobiliare che si autodefinisce gli Avvoltoi (il cui compito è acquistare a prezzi stracciati case già pignorate per poi rivenderle facendo profitti) e in cui la classe media vede falcidiati i propri beni primari dalla rapacità di banche prive di qualsiasi seppur remoto scrupolo, Moore non può sentirsi a suo agio. E non può non solidarizzare con chi pensa che i rapinatori non siano solo quelli proposti in sequenza nelle immagini delle televisioni a circuito chiuso di banche e negozi. Oggi ci sono rapinatori che agiscono sulla sorte di milioni di persone. Qualcuno di loro comincia a pagare ma l'indignazione non è ancora giunta al livello necessario.
Il livello di cui Franklin Delano Roosevelt aveva fatto proprie le istanze ipotizzando una nuova Costituzione Americana in cui i diritti fondamentali dei cittadini venissero riconosciuti in modo assolutamente dettagliato e inequivocabile. Il Presidente morì prima di essere riuscito a farla diventare legge. Oggi il popolo americano paga questo vuoto legislativo con i posti di lavoro persi e le abitazioni letteralmente divorate da avvoltoi di diverse specie. Moore, da vero americano, auspica un ritorno al passato perché la parola futuro possa tornare ad avere un significato positivo. Quando mostra vescovi e sacerdoti schierarsi senza indugio a fianco di chi sta perdendo il lavoro viene in mente l'abusata terminologia nostrana 'cattocomunista'. Non si tratta di 'comunismo' in questo film ma di diritti basilari che la ricerca sfrenata del guadagno non può mai (in nessuna occasione e per nessun pseudo motivo di 'interesse generale') calpestare.
Moore porta come esempio positivo, tra le altre, la nostra Costituzione. Faremmo bene ogni tanto a rileggerla. Magari dopo avere visto Capitalism: A Love Story.

lunedì 22 marzo 2010